La riflessione di oggi (in realta’ di ieri sera) riguarda la vita negli ambienti multinazionali. Io ho visto in pratica diversi contesti lavorativi, come tutti. L’universita’, che di fatto e’ gia’ un ambiente diverso rispetto le scuole dell’obbligo, poi ho lavorato per un po’ nel dottorato e infine Torino, Genova fino ad approdare all’estero.
Ovvio che l’universita’ da’ una prima idea di un ambiente piu’ aperto: per quanto ci si confronti spesso con gente della propria nazione, parlo nel mio caso ovviamente, la provenienza e’ molto varia e si inizia a capire che forse forse si e’ vissuti, fino ad allora, in un ambiente limitato. Stesse idee che circolano, intrappolate in ogni sorta di pregiudizio. Poi sono andato a Torino. L’ambiente era territorialmente limitato, lavoravo con gente di Torino, mangiavo con gente di Torino, andavo in palestra con gente di Torino.
Ma Torino e’ di per se’ multiculturale. E’ grossa, ci trovi gente con mentalita’ aperta e no, sono tutti abbastanza loquaci. Me ne andai perche’ trovai chiusura mentale sul posto di lavoro, ma non per la citta’, che e’ davvero magnifica. E andai all’inferno, ovvero a Genova. La Spezia l’ho accusata perche’ ci ho vissuto 30 anni, ma non si puo’ definire peggio di Genova. La’ puoi morire che la gente se ne sbatte, ti rivolge la parola solo se deve per ottenere qualcosa. Ho iniziato presso un cliente, e ho vissuto 11 mesi di inferno. Nemmeno la gente in palestra ti parlava.
Non che ci mancassero gli elementi simpatici, ma la gente gia’ fatica abbestia per darti confidenza, e sembra che se te la da’ ti stia salvando la vita, ma poi rimane diffidente, e’ chiusa, ogni cosa che succede sembra traumatizzarla, anche le cose di base. E ci sono degli stereotipi cosi’ forti che credevo di impazzire: se saluti qualcuno, 9 volte su 10 ti guarda male se non lo conosci da secoli, si parla male di tutti quelli con cui non hai il 100% di confidenza… un incubo. Precisiamo: io vengo da un paesotto, spesso e’ cosi’ anche da me. Ma Genova, Cristo, la Grande Genova. Una accozzaglia di provincialotti.
Saro’ provincialotto anche io, di origini, ma mi sforzo di aprirmi, accettare nuove idee. Cosa vuoi accettare da della gente che reputa “bella o brutta” una persona solo in base a quello che dice il branco? Ecco, il concetto di branco la’ a volte e’ piu’ forte di quello di ogni singolo individuo, la propria testa non esiste. Un pochino diversamente e’ andata in Siemens, per il grande afflusso di gente da fuori. Non ci sono molti stranieri eh, qualcuno, ma gia’ portano idee, stili differenti. Poi ci sono molti non genovesi, che cambiano un po’ la mentalita’ globale. Li’ sono stato in grado di costruire un buon gruppo di amici, partendo dagli esterni, da quelli nati altrove e tirandomi dietro quei genovesi un po’ diversi.
Peccato che lavoro e paga fossero inadeguati. Inoltre… ah, l’ambizione! E cosi’ via, verso la Francia.
Qui e’ come la Siemens, solo che ci sono piu’ stranieri: nel mio ufficio saremo meta’ stranieri e meta’ francesi. Ieri si parlava di pirateria, illegalita’, soprattutto film, consolle… sentire i punti di vista di Francesi e Italiani mischiati a Tunisini e a uno Spagnolo ti mette un po’ di fronte alla realta’: alla fine tendiamo a essere troppo chiusi, dobbiamo sforzarci sempre per accettare le mentalita’ altrui, ma e’ il modo piu’ pratico per aprire anche la nostra mente.
Stay tuned!