travail en Italie


E’ bello perchè torno a casa dopo avere fatto più di 400 km (prendendo un autovelox secco in faccia in Francia, in un tunnel, in salita, col limite dei 90… vorrei sapere come ho fatto, che la mia macchinina al massimo va ai 100 in discesa) e scopro che l’Italia va verso il degrado, sempre e costantemente. E tutto questo direttamente o indirirettamente per colpa di Berlusconi.
Guai a me se mi metto a trattare di politica, nè tantomeno voglio dire che i premier all’estero siano migliori. Ma è un discorso di serietà e di interesse a fare progredire il paese. L’Italia è una schifezza, e che i giornali manovrati a modo dicano il contrario non cambia questo verdetto. Essendo andato all’estero mi rendo conto che la situazione è decisamente diversa, e me ne rendo conto da una cosa semplicissima: la gente vive meglio.
Ok, sono finito nella Silicon Valley europea, questo potrebbe influenzare molto il mio giudizio. Ma la gente, laggiù, lavora in pace. Fa le sue ore (7 e mezza… che bisogno c’è che siano 8?), risolve i suoi problemi e rispettosamente sta di più gratis se non ce la fa, perchè il carico è giusto. Poi esce e ha tutto il tempo di vivere. E’ ben pagata e quindi non si lamenta di nulla, a lavoro ha ottime attrezzature quindi non si affatica a vedere un monitor e preferisce stare magari a sentirsi due canzoni su Youtube in più la sera, e quindi magari regala 20 minuti di lavoro.
E’ un equilibrio: tu non tenti di sfruttarmi e io faccio volentieri il mio.

In Italia questo non funziona. Se tu stai 10 minuti in più quando poi non ci stai sei la pecora nera. Se uno è incapace è sta 9 ore si becca i complimenti perchè così si costringe psicologicamente il bravo a fare altrettanto. Se l’ambiente lo prevede, si sovracaricano i lavoratori per evitare di aumentare il numero di dipendenti. E la paga è lesinata all’inverosimile. Quale è la morale? Che chi non è buono a fare un cazzo gioca sul fare carriera spaccandosi il culo, e questo porta inevitabilmente a degradare la stima nelle capacità. Essere bravi non conta, sei una pedina e se il tuo lavoro è fatto meglio bravo, ma nessuno ti incentiverà per questo.
Mi viene in mente quando ero a Genova e lavoravo con strumenti a me ben noti. C’è stato addirittura un momento in cui mi è stato detto che mi davo troppo da fare. Non mi sono mai ammazzato di lavoro, e non sono tra quelli che pensano di dover strafare per fare notare la propria presenza. Solo trovavo interessante il mio lavoro, all’epoca. Però i miei responsabili mi avevano fatto notare che “rischiavo di tirarmi addosso TROPPO lavoro“. Era una osservazione scherzosa, ma realistica. Infatti in un altro ambiente di lavoro mi era stato pure detto che non contava tanto quando entravi, contava molto quando andavi via, perchè il capo ti teneva d’occhio.
Ora è diverso. Ora devi lavorare con un gruppo, ma se entri nell’orario di lavoro e fai il tuo lavoro, e le tue ore a nessuno importa se esci prima o dopo. E se sei una nullità lavori con le nullità, se sei bravo lavori ad alti livelli. E se sei bravo il tuo lavoro sarà più di qualità, quindi il tuo guadagno sarà maggiore. E’ una regola che funziona, se la si rispetta. Non bisogna avere delle idee fantastiche per essere apprezzati, non bisogna impazzire per il proprio lavoro per essere importanti. Bisogna essere bravi, inutile risolvere un problema che ne apre altri 1700 perchè l’hai risolto con il culo, meglio creare già cose di alto livello, e avere meno problemi in futuro.

Per questo una persona si sente appagata all’estero. Perchè se vali, non ti ammazzano di lavoro e ti pagano bene. Ma devi valere. E ultimamente se ne rendono conto tutti. La catena più interessante parte dal giornale Repubblica che pubblica in questo articolo i dati sconvolgenti degli italiani all’estero, dove si vede che a migrare sono soprattutto coloro che hanno alti livelli di istruzione. Gente con dottorati e lauree, perchè ovviamente han più bisogno di vedere apprezzato il loro valore.
Un valore che in Italia non viene considerato. Altro dato importante è che sono in prevalenza giovani, visto che il 52% circa ha un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Sono gli italiani con le palle, quelli che non si fanno fermare da misere difficoltà e si mettono in gioco finchè ne han le forze, evitando di vivere nella cuccia della mamma.

Riprende l’articolo della Repubblica il Times che approfondisce in questo articolo le informazioni. “According to figures published in May by the National Institute of Statistics, 30% of Italians ages 30 to 34 still live with their parents, three times as many as in 1983“, ovvero il 30% degli italiani tra i 30 e i 34 anni vive ancora coi genitori. Penso ci si dovrebbe mettere anche chi non ci vive ma per finta, quelli cioè che vivono a un tiro di sputo dalla famiglia. Allora ci si potrebbe fare due risate, perchè comunque anche qui ci sono i “finti migliori“, quelli che vogliono vivere coi genitori ma vanno ad abitare a 3 metri per dire che vivono fuori casa.
Credo di avere detto abbastanza, I due articoli citati meritano i 5 minuti di lettura. Io me ne esco. Stay tuned!


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